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Siamo abituati a ragionare in termini di quantità: otto ore al giorno, quaranta ore settimanali, full time, part-time, part-time misto, lavoro su turni ecc. Ma cosa emerge se riflettiamo nei termini della qualità del nostro tempo lavorativo?
Ecco cosa troverete nel seguente articolo:
Lo stress è un concetto complesso, generalmente legato ad uno squilibrio tra le richieste dell’ambiente esterno e le risorse interiori della persona.
In generale si percepisce una condizione di stress quando si è in una condizione psico-fisica di malessere che si esprime attraverso una sintomatologia varia come mal di testa, tensione muscolare, tachicardia, extrasistole, bruxismo, alimentazione compulsiva, ma anche tensione, ansia, rabbia, pianti frequenti, senso di impotenza, preoccupazione costante, difficoltà nella concentrazione e nel portare a termine un compito ecc. Tali sintomi possono essere acuti e limitati nel tempo, oppure possono assumere un andamento cronico.
Essere in una condizione di stress non è tanto dovuto all’evento stressante di per sé, quanto alla percezione soggettiva di poter fronteggiare lo stressor. L’ansia non è sempre una risposta ad un pericolo reale.
Nell’ambito della psicologia del lavoro e delle ricerche sullo stress lavorativo studi recenti mostrano come vi sia una tensione continua tra efficacia (far bene) ed efficienza (fare nel miglior tempo possibile) richieste al lavoratore, portando ad un sovraccarico di ruolo: a volte tale tensione percepita diventa eccessiva, portando il lavoratore a sentirsi inefficace, e ad alimentare un meccanismo di “profezia che si auto-avvera”.
Il lavoratore davanti ad un obiettivo da raggiungere parte già sfiduciato rispetto alle proprie capacità e alle risorse che l’ambiente lavorativo può offrire (nei termini di aiuto, sostegno, tempo, strumenti ecc.). Tale atteggiamento auto-sabotante porterà ad esperire molto probabilmente un reale insuccesso, confermando la bassa autostima percepita inizialmente e un senso di critica distruttiva nei confronti della propria Organizzazione. Spesso questa situazione di insicurezza e sfiducia è rafforzata da un’ambiguità di ruolo, ossia dalla mancanza di chiarezza rispetto ai propri compiti e mansioni, o da un conflitto di ruolo, ovvero quando le richieste sono incompatibili tra loro.
Comunicare al datore di lavoro il proprio malessere può non essere semplice. La sensazione sperimentata per lungo tempo di essere inadatti ed il timore di perdere il proprio posto di lavoro accompagnano l’angoscia del lavoratore, portandolo spesso a mantenere il silenzio fino ad un punto di esaurimento e rottura definitiva. È importante in questa fase la valutazione di una serie di fattori complessi, e può essere utile rivolgersi ad un professionista che ci aiuti ad analizzare il contesto Organizzativo e ci sostenga in questo passaggio. È necessario individuare che cosa provochi angoscia nel contesto lavorativo, specificando il problema, e provando a pensare a soluzioni alternative, anche sulla base del clima aziendale, e del tipo di rapporto con gli interlocutori.
Bibliografia:
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